GENIO E REGOLATEZZA
G
07
DICEMBRE
2008
ECCOVI L'INTERVISTA DI VIRGINIA WOOD A NINO VENTURA PUBBLICATA SUL N.75 DI SPECIALNEWS
Incontro Nino Ventura nel suo studio alla Cascina Cerello di Chivasso a 15 km. da Torino.
E' qui, immerso nello splendido scenario della campagna piemontese, che Ventura progetta e realizza le sue sculture.
Sculture che in questi anni lo hanno portato in giro per il mondo con grandi soddisfazioni e tanti riconoscimenti. Successi che non gli hanno mai fatto perdere quel senso di umiltà e di familiarità che riesce a trasmettere quando lo si incontra.
E' difficile parlare con lui delle sue opere perché, ci dice, dovrebbero essere in grado di parlare da sole ma, proviamo lo stesso a capire cosa pensa di sé e delle sue creazioni partendo da lontano.
Ti senti più siciliano o piemontese?
Sono nato ad Acireale, in provincia di Catania, nella casa di mia nonna, ma non ho mai abitato in Sicilia.
Mio padre faceva il Carabiniere e lo spostavano su e giù per l'Italia. Quando siamo arrivati a Chivasso nel 1967 avevo 8 anni. Purtroppo mio padre è morto qualche anno dopo e mia madre, che faceva la maestra, ha deciso di rimanere qui.
Decisione difficile, per una donna di 33 anni sola e con due figli ma rivelatasi saggia per il nostro futuro e per questo non mi stancherò mai di ringraziarla.
Per rispondere alla domanda devo dire che mi sento chivassese a tutti gli effetti ma conservo il cuore caldo e tumultuoso del vulcano che mi ha visto nascere.
Ognuno di noi eredita nel proprio patrimonio genetico, oltre alle caratteristiche fisiche e tangibili, un'esperienza ancestrale che è depositata negli strati più profondi del nostro cervello e che, più o meno coscientemente, ritorna in superficie quando ci lasciamo andare alle emozioni ed all'irrazionalità..
Parallelamente all'attività artistica fai anche un altro lavoro, perché?
Anche se ormai a forza di sentirlo dire, sembra un luogo comune, con l'arte, anche quando hai successo, è difficile campare, ancor più, se decidi di avere una famiglia.
Sono tanti ed illustri gli esempi, sia oggi che nel passato. Se è difficile per un pittore sopravvivere, pensate agli scultori. I costi di realizzazione di un lavoro in marmo o in bronzo sono elevatissimi, tant'è che, in mancanza di un committente, spesso gli scultori vivono la frustrazione di progettare la propria opera senza mai poterla realizzare.
Una volta erano le gallerie a sostenere le produzioni dei loro artisti, ora quelle che usano questa politica sono rarissime e molte gallerie si limitano a vendere i propri spazi espositivi a chiunque abbia velleità artistiche e sia in grado di pagare.
Il mio lavoro "parallelo" è quello di responsabile del Servizio Informazione e Comunicazione del Comune di Chivasso. Un lavoro che mi piace molto anche se non perdo la speranza di potermi dedicare interamente alla scultura.
Comunque, mi sento fortunato perché riesco a realizzare molte delle sculture che progetto anche se, spesso, devo finanziarle con le entrate che arrivano dal mio lavoro di funzionario comunale.
Cosa vuol dire essere artisti?
Non so cosa significhi per gli altri, anche se in alcuni casi mi sono fatto l'idea che sia una sorta di autoterapia, per me è una necessità naturale, incontenibile, primaria, come mangiare, bere, respirare.
In questi ultimi vent'anni ho cambiato il mezzo (teatro, cinema, televisione, scultura) ma ho sempre compiuto lo stesso percorso e fatto la stessa cosa: comunicare con gli altri attraverso le metafore, le storie, le immagini, gli oggetti che, una volta realizzati, superano la loro concretezza e fisicità per dialogare direttamente con l'anima.
Riuscire a fare questo, a trasmettere emozioni e significati che superino le condizioni culturali e sociali dell'osservatore, vuol dire fare dell'arte e, quindi, essere artisti.
Come ti definiresti?
"Lavoratore della terra" oppure "Genio e regolatezza" o, ancora, "Barocco siciliano".
Come giudichi l'attuale sistema dell'arte contemporanea?
Faccio l'artista e non sono uno storico dell'arte, però, se posso esprimere il mio giudizio, credo che stiamo vivendo la favola de "Il re è nudo". Tutti pensano che molte delle opere che vengono presentate come sperimentali o innovative siano brutte, inesistenti, sovrastimate ed in molti casi non esistano proprio.
Ma anche i critici, quelli cioè che dovrebbero gridare "il re è nudo", sono troppo inseriti in questo sistema economico milionario, in cui una fascina, un'impronta di scarpa sul muro, un topo mummificato o un rotolo di carta igienica in una teca di cristallo, sono oggetto di grandi investimenti e di vere e proprie operazioni di marketing.
La provocazione artistica l'ha già fatta egregiamente quel genio di Duchamp, la rivoluzione visiva l'hanno compiuta tanti artisti del novecento per "colpa" della fotografia e grazie all'arrivo in Europa dell'arte africana. Una rivoluzione fatta al momento giusto, quando ce n'era bisogno, quando aveva un senso, ora ci sono un sacco di inutili replicanti.
Sono convinto che di questo ultimo genere di arte non resterà nulla , anzi il nostro sarà un periodo negativo da citare nei libri scolastici, ma questo è solo il mio umilissimo parere.
Per quanto mi riguarda io credo nella forza dell'opera. In quello che è in grado di comunicare da sola, senza l'ausilio di illuminanti orpelli. Credo nei materiali della nostra cultura, quella mediterranea: il marmo, il bronzo, la terracotta e sono convinto che abbiano ancora molte cose da dire.
Credo nel rapporto strettissimo che lega l'arte all'artigianato. Un rapporto che si basa sulla conoscenza tecnica, sull'abilità e che, in fondo, se non fosse per il fatto che l'artista compie il suo gesto creativo una volta sola e l'artigiano lo ripete più volte, verrebbe a coincidere.
Non sono contento di questa politica di omologazione dell'arte perché ha come effetto quello di riempire i musei di tutto il mondo con lo stesso genere di opere e gli stessi artisti.
Possibile che non esistano altre voci e altre realtà?
Perché quello che ha fatto Slow Food con il cibo non si può fare anche con l'arte?
Le mie radici e la mia ispirazione vengono da quello che mi circonda, dal mar Mediterraneo, dall'arte greca, etrusca, bizantina, romana, dal gotico, dal rinascimento, dal barocco ”¦..
Amo la contaminazioni, le "differenze", odio l'omologazione la sopraffazione e l'imperialismo culturale.
A proposito di questo, cosa ne pensi di questa tendenza che vede i giovani emergenti sempre più presenti alle fiere d'arte dove vengono istituiti appositi fondi per l'acquisto delle loro opere in musei e fondazioni?
In questo periodo c'è una ricerca spasmodica di nuovi "Picasso" una nevrosi che probabilmente tende più a soddisfare le ambizioni di qualche collezionista piuttosto che a documentare un cambiamento in atto.
Ad ogni modo, penso che sia giusto cercare, coltivare e promuovere i nuovi talenti, penso, invece, che sia sbagliato e diseducativo illudere i giovani portandoli subito alla ribalta internazionale, abbagliandoli con facili guadagni.
Purtroppo in questo mestiere ci vuole tempo e costanza.
Ora però parliamo del tuo percorso artistico?
Il Teatro è lo strumento che preferisco, penso che sia il più affascinante e completo, ma, purtroppo, non si concilia facilmente con la vita familiare. La scultura mi ha dato la possibilità di gestire in modo più regolare la mia attività artistica senza trascurare Licia e le mie bellissime figlie: Stefania e Alice.
Quando ho iniziato a fare i primi pesci in argilla, era un semplice gioco e lo sarebbe restato se non fossi stato praticamente costretto a "mostrarli" in una galleria d'arte a Leinì. Da allora i Pesci si sono trasformati in Sirene, le Sirene in Uomini e gli Uomini in Angeli. Mi sono accorto di aver percorso il ciclo della Genesi: ho collegato l'aria con l'acqua, passando dalla terra e dal fuoco. Lavoro d'istinto mi lascio trasportare dalle sensazioni che hanno il sopravvento sulla razionalità del gesto. Poi mi siedo, decodifico quello che ho fatto e rielaboro razionalmente l'opera per completarla. Per questo amo l'argilla, perché è il materiale giusto per modellare "l'improvviso".
Il pesce è il legame forte che ho con l'acqua, ma anche il simbolo della vita, il simbolo di Cristo.
In questo momento in cui non sembra interessare a nessuno quello che siamo, sento di dover difendere la mia capacità di costruire, di fare, il nostro mondo, la nostra vita, la mia cristianità e così ho realizzato un mio esercito: "L'Esercito del Piccolo Pesce".
Non è un atto di guerra o di ostilità ma di coraggio; il coraggio di essere fieri della propria storia e orgogliosi della propria cultura.
Quello che farò domani non lo so ancora ma, saranno le mie sculture a raccontarlo.
Nino mi saluta con un abbraccio e riprende a caricare il furgone. Il 5 settembre si inaugura la mostra Internazionale della Ceramica a Castellamonte ed il suo Esercito debutta per la prima volta, dopo l'anteprima laziale a Sperlonga, nella nostra regione. Vi consiglio di cuore di andarlo a vedere.
Virginia Wood - Specialnews n.75 - ottobre/novembre 2008
Incontro Nino Ventura nel suo studio alla Cascina Cerello di Chivasso a 15 km. da Torino.
E' qui, immerso nello splendido scenario della campagna piemontese, che Ventura progetta e realizza le sue sculture.
Sculture che in questi anni lo hanno portato in giro per il mondo con grandi soddisfazioni e tanti riconoscimenti. Successi che non gli hanno mai fatto perdere quel senso di umiltà e di familiarità che riesce a trasmettere quando lo si incontra.
E' difficile parlare con lui delle sue opere perché, ci dice, dovrebbero essere in grado di parlare da sole ma, proviamo lo stesso a capire cosa pensa di sé e delle sue creazioni partendo da lontano.
Ti senti più siciliano o piemontese?
Sono nato ad Acireale, in provincia di Catania, nella casa di mia nonna, ma non ho mai abitato in Sicilia.
Mio padre faceva il Carabiniere e lo spostavano su e giù per l'Italia. Quando siamo arrivati a Chivasso nel 1967 avevo 8 anni. Purtroppo mio padre è morto qualche anno dopo e mia madre, che faceva la maestra, ha deciso di rimanere qui.
Decisione difficile, per una donna di 33 anni sola e con due figli ma rivelatasi saggia per il nostro futuro e per questo non mi stancherò mai di ringraziarla.
Per rispondere alla domanda devo dire che mi sento chivassese a tutti gli effetti ma conservo il cuore caldo e tumultuoso del vulcano che mi ha visto nascere.
Ognuno di noi eredita nel proprio patrimonio genetico, oltre alle caratteristiche fisiche e tangibili, un'esperienza ancestrale che è depositata negli strati più profondi del nostro cervello e che, più o meno coscientemente, ritorna in superficie quando ci lasciamo andare alle emozioni ed all'irrazionalità..
Parallelamente all'attività artistica fai anche un altro lavoro, perché?
Anche se ormai a forza di sentirlo dire, sembra un luogo comune, con l'arte, anche quando hai successo, è difficile campare, ancor più, se decidi di avere una famiglia.
Sono tanti ed illustri gli esempi, sia oggi che nel passato. Se è difficile per un pittore sopravvivere, pensate agli scultori. I costi di realizzazione di un lavoro in marmo o in bronzo sono elevatissimi, tant'è che, in mancanza di un committente, spesso gli scultori vivono la frustrazione di progettare la propria opera senza mai poterla realizzare.
Una volta erano le gallerie a sostenere le produzioni dei loro artisti, ora quelle che usano questa politica sono rarissime e molte gallerie si limitano a vendere i propri spazi espositivi a chiunque abbia velleità artistiche e sia in grado di pagare.
Il mio lavoro "parallelo" è quello di responsabile del Servizio Informazione e Comunicazione del Comune di Chivasso. Un lavoro che mi piace molto anche se non perdo la speranza di potermi dedicare interamente alla scultura.
Comunque, mi sento fortunato perché riesco a realizzare molte delle sculture che progetto anche se, spesso, devo finanziarle con le entrate che arrivano dal mio lavoro di funzionario comunale.
Cosa vuol dire essere artisti?
Non so cosa significhi per gli altri, anche se in alcuni casi mi sono fatto l'idea che sia una sorta di autoterapia, per me è una necessità naturale, incontenibile, primaria, come mangiare, bere, respirare.
In questi ultimi vent'anni ho cambiato il mezzo (teatro, cinema, televisione, scultura) ma ho sempre compiuto lo stesso percorso e fatto la stessa cosa: comunicare con gli altri attraverso le metafore, le storie, le immagini, gli oggetti che, una volta realizzati, superano la loro concretezza e fisicità per dialogare direttamente con l'anima.
Riuscire a fare questo, a trasmettere emozioni e significati che superino le condizioni culturali e sociali dell'osservatore, vuol dire fare dell'arte e, quindi, essere artisti.
Come ti definiresti?
"Lavoratore della terra" oppure "Genio e regolatezza" o, ancora, "Barocco siciliano".
Come giudichi l'attuale sistema dell'arte contemporanea?
Faccio l'artista e non sono uno storico dell'arte, però, se posso esprimere il mio giudizio, credo che stiamo vivendo la favola de "Il re è nudo". Tutti pensano che molte delle opere che vengono presentate come sperimentali o innovative siano brutte, inesistenti, sovrastimate ed in molti casi non esistano proprio.
Ma anche i critici, quelli cioè che dovrebbero gridare "il re è nudo", sono troppo inseriti in questo sistema economico milionario, in cui una fascina, un'impronta di scarpa sul muro, un topo mummificato o un rotolo di carta igienica in una teca di cristallo, sono oggetto di grandi investimenti e di vere e proprie operazioni di marketing.
La provocazione artistica l'ha già fatta egregiamente quel genio di Duchamp, la rivoluzione visiva l'hanno compiuta tanti artisti del novecento per "colpa" della fotografia e grazie all'arrivo in Europa dell'arte africana. Una rivoluzione fatta al momento giusto, quando ce n'era bisogno, quando aveva un senso, ora ci sono un sacco di inutili replicanti.
Sono convinto che di questo ultimo genere di arte non resterà nulla , anzi il nostro sarà un periodo negativo da citare nei libri scolastici, ma questo è solo il mio umilissimo parere.
Per quanto mi riguarda io credo nella forza dell'opera. In quello che è in grado di comunicare da sola, senza l'ausilio di illuminanti orpelli. Credo nei materiali della nostra cultura, quella mediterranea: il marmo, il bronzo, la terracotta e sono convinto che abbiano ancora molte cose da dire.
Credo nel rapporto strettissimo che lega l'arte all'artigianato. Un rapporto che si basa sulla conoscenza tecnica, sull'abilità e che, in fondo, se non fosse per il fatto che l'artista compie il suo gesto creativo una volta sola e l'artigiano lo ripete più volte, verrebbe a coincidere.
Non sono contento di questa politica di omologazione dell'arte perché ha come effetto quello di riempire i musei di tutto il mondo con lo stesso genere di opere e gli stessi artisti.
Possibile che non esistano altre voci e altre realtà?
Perché quello che ha fatto Slow Food con il cibo non si può fare anche con l'arte?
Le mie radici e la mia ispirazione vengono da quello che mi circonda, dal mar Mediterraneo, dall'arte greca, etrusca, bizantina, romana, dal gotico, dal rinascimento, dal barocco ”¦..
Amo la contaminazioni, le "differenze", odio l'omologazione la sopraffazione e l'imperialismo culturale.
A proposito di questo, cosa ne pensi di questa tendenza che vede i giovani emergenti sempre più presenti alle fiere d'arte dove vengono istituiti appositi fondi per l'acquisto delle loro opere in musei e fondazioni?
In questo periodo c'è una ricerca spasmodica di nuovi "Picasso" una nevrosi che probabilmente tende più a soddisfare le ambizioni di qualche collezionista piuttosto che a documentare un cambiamento in atto.
Ad ogni modo, penso che sia giusto cercare, coltivare e promuovere i nuovi talenti, penso, invece, che sia sbagliato e diseducativo illudere i giovani portandoli subito alla ribalta internazionale, abbagliandoli con facili guadagni.
Purtroppo in questo mestiere ci vuole tempo e costanza.
Ora però parliamo del tuo percorso artistico?
Il Teatro è lo strumento che preferisco, penso che sia il più affascinante e completo, ma, purtroppo, non si concilia facilmente con la vita familiare. La scultura mi ha dato la possibilità di gestire in modo più regolare la mia attività artistica senza trascurare Licia e le mie bellissime figlie: Stefania e Alice.
Quando ho iniziato a fare i primi pesci in argilla, era un semplice gioco e lo sarebbe restato se non fossi stato praticamente costretto a "mostrarli" in una galleria d'arte a Leinì. Da allora i Pesci si sono trasformati in Sirene, le Sirene in Uomini e gli Uomini in Angeli. Mi sono accorto di aver percorso il ciclo della Genesi: ho collegato l'aria con l'acqua, passando dalla terra e dal fuoco. Lavoro d'istinto mi lascio trasportare dalle sensazioni che hanno il sopravvento sulla razionalità del gesto. Poi mi siedo, decodifico quello che ho fatto e rielaboro razionalmente l'opera per completarla. Per questo amo l'argilla, perché è il materiale giusto per modellare "l'improvviso".
Il pesce è il legame forte che ho con l'acqua, ma anche il simbolo della vita, il simbolo di Cristo.
In questo momento in cui non sembra interessare a nessuno quello che siamo, sento di dover difendere la mia capacità di costruire, di fare, il nostro mondo, la nostra vita, la mia cristianità e così ho realizzato un mio esercito: "L'Esercito del Piccolo Pesce".
Non è un atto di guerra o di ostilità ma di coraggio; il coraggio di essere fieri della propria storia e orgogliosi della propria cultura.
Quello che farò domani non lo so ancora ma, saranno le mie sculture a raccontarlo.
Nino mi saluta con un abbraccio e riprende a caricare il furgone. Il 5 settembre si inaugura la mostra Internazionale della Ceramica a Castellamonte ed il suo Esercito debutta per la prima volta, dopo l'anteprima laziale a Sperlonga, nella nostra regione. Vi consiglio di cuore di andarlo a vedere.
Virginia Wood - Specialnews n.75 - ottobre/novembre 2008
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